LA SCULTURA CRONOTOPICA,
IL COLORE COMPLEMENTARE
Renato Carnevale
Intervento al Congresso della Accademia Europea delle Scienze, delle Arti e delle Lettere, Parigi,
Presso la Accademia Nazionale dei Lincei - Roma, 1 Ottobre 1987
Signor Presidente,
Signore e Signori, egregi Colleghi,
Permettetemi innanzi tutto di ringraziare gli organizzatori di questo Colloquio e Lei Sig Presidente per avermi consentito di prendere la parola non proprio per apportare un contributo al tema che state trattando «Presenza della scienza nell’arte» ma per sollecitare la Vostra collaborazione alla soluzione di un problema che mi si è presentato nella mia attività artistica e che comunque rientra in certo qual modo nel tema del Colloquio.
Sono uno scultore italiano, di Genova, che da parecchi anni svolge la sua attività nel campo spazio-temporale. Ho cercato e cerco di esprimere, attraverso i miei lavori e con un linguaggio personale, i concetti astratti di tempo e di spazio, cioè la quarta dimensione, la dimensione spazio-temporale.
Le mie sculture infatti vengono da me chiamate «sculture cronotopiche» cioè spazio-tempo.
Partendo dal principio che non vi è luce (secondo la teoria ondulatoria della luce) senza spazio e non vi è moto senza spazio io esprimo il concetto di spazio attraverso un movimento virtuale di forme illuminate da una sorgente luminosa ruotante. Questa, proiettata sulle forme stesse - che sono fisse e non mobili e distaccate su di uno sfondo bianco o chiaro - determina delle ombre che si muovono e desta nello spettatore - abituato a vedere che un’ombra si muove perché è l’oggetto che la genera che si muove - una sensazione di moto e quindi una presa di coscienza della esistenza «dello spazio». Il «tempo» è materializzato attraverso suoni scanditi ritmicamente, emessi in estensione, non in accompagnamento, del fattore visivo. Questo modo di esprimersi si è, attraverso il tempo, più elaborato utilizzando vari materiali, vari accorgimenti ed utilizzando infine anche il colore per le forme, sino allora monocrome.
Già da tempo poi, utilizzando delle forme colorate insieme a quelle di tinta omogenea, o delle forme colorate disposte direttamente sul pannello di sostegno facente da sfondo, avendo notato che, prima saltuariamente poi più spesso, sul pannello di sfondo, facente da schermo, apparivano delle immagini delle forme stesse ma del colore complementare a quello delle forme considerate. La percezione era (ed è) soggettiva e non tutti gli spettatori reagivano allo stesso modo.
Considero la cosa normale poichè si verificava un fenomeno già noto da tempo e conosciuto in fisica ottica sotto il nome di «Colore Complementare» o di «ricostruzione successiva».
Fenomeno di natura fisiologica che io ho cercato di sfruttare per creare quello che io ho chiamato «Cromocinetismo» cioè variazione per ogni spettatore del «Pattern» visivo prendendo in esame la disclocazione soggettiva delle immagini che apparivano, man mano ed in modo diverso, ad ogni spettatore sul fondo-schermo.
Sin qui tutto appariva normale.
Nel proseguire la mia ricerca ho utilizzato il moto reale per suggerire il concetto di spazio, ed ho creato delle «strutture cronotopiche» di più modeste dimensioni (e quindi più facilmente presentabili in esposizioni) che non hanno bisogno - come le prime- di un ambiente oscuro dove essere presentate in quanto il movimento non è suggerito dal movimento delle ombre ma avviene in modo reale.
Su queste strutture, in seguito, ho provato a proiettare non più solo luce bianca, ma anche della luce colorata. Con mia sorpresa ho notato - e qui entriamo nel problema sul quale mi interessa far concentrare la Vostra attenzione - che le forme in movimento , sulle quali convergeva il fascio di luce colorata, creavano delle ombre che, invece di essere di tinta neura o scura come quelle provocate dalla luce bianca, erano del colore complementare relativo a quello della luce proiettata. Ed il fenomeno della complementarietà - cioè della ricostruzione successiva - non era ritardato all’osservazione ma immediato e percepibile in modo assai evidente da tutti gli spettatori.
In un primo momento ho ritenuto che, pur essendo immediato e simultaneo, si trattasse sempre del fenomeno della complementarietà, collegato con la percezione visiva, quindi fisiologico, ma quando - dovendo inviare delle diapositive a colori dei miei lavori alla Segreteria della nostra Accademia per la presentazione della stessa, in occasione del Convegno di Stoccolma nel 1984 - feci fare le diapositive a colori delle strutture in questione da un fotografo professionista e qualificato, mi sono ritrovato dinnanzi alla riproduzione esatta del fenomeno della complementarietà così come lo si percepiva visivamente ad occhio nudo.
Allora ho pensato - e qui chiedo scusa se espongo dei fatti scientifici ed esprimo mie considerazioni così come mi sorgono in mente senza avere la preparazione scientifica in materia - allora dunque ho pensato con sorpresa, il fenomeno del colore complementare non è soltanto fisiologico e ristretto alla mente umana, ma reale in quanto percepito da un mezzo meccanico quale la macchina fotografica, che registra solo la realtà delle cose. E tale mia considerazione si è consolidata quando ho notato che detto fenomeno veniva evidenziato anche dalla ripresa televisiva.
Pur non avendo - come ho accennato- assolutamente competenza in materia di fisica ottica, ho cercato di dare (con grande presunzione) una risposta al problema che mi si presentava e che mi affascinava, e mi affascina tutto’ora, avvalendomi del metodo sperimentale, utilizzando materiali diversi, luci diverse (il fenomeno si riproduce anche con la luce di WOD) senza però poter raggiungere una risposta valida.
Un dato preciso ha potuto acclarare : che è necessario che nell’ambiente dove si presenta tale fenomeno e vengono effettuate delle misurazioni, vi sia luce bianca diffusa che permetta di percepire le ombre determinate dalle forme - opache- che fermano e trattengono il fascio di luce colorate. Ciò pertanto coinvolge lo spettro della luce naturale o quello della luce artificiale bianca con quello della luce colorata, che sembra intervenga a volte in modo additivo a volte in modo sottrattivo (nel caso delle ombre).
Del fenomeno si è interessato anche il nostro egregio Presidente prof. Daudel che - dopo aver visto uno dei miei lavori esposto a Parigi al Grand Palais, al Salon Réalités Nouvelles del 1986 - gentilmente ha cercato di darmi aiuto, e di ciò lo ringrazio ancora sentitamente, prensentandomi ad esponenti del mondo universitario di Parigi ed ottenendomi la collaborazione - per un esame fotoclorimetrico - del Laboratoire de Physique Appliquée aux Sciences Naturelles di Parigi.
I primi studi delle misure colorimetriche effettuate a Parigi nel luglio scorso dalla Dott.ssa Françoise Vienot di detto Laboratorio danno, secondo l’opinione e l’interpretazione di detta dottoressa, purtroppo per la mia intuizione, un risultato negativo stabilendo come l’effetto sensibile del colore sia, a suo avviso, totalmente fisiologico.
Devo prendere, per ora, atto di ciò in attesa di poter continuare degli esami a riguardo con strumenti ed apparati più sensibili e più perfezionati (ho infatti contatti con il Ministero della Difesa francese che si è mostrato molto aperto ai miei confronti e che spero mi dia la sua collaborazione permettendomi di accedere ai laboratori dello stesso dipendenti) e mi auguro che questi successivi esami possano dare una risposta più favorevole alla mia tesi.
Nel frattempo si pongono questi interrogativi, che io passo a Voi sperando in un adeguato interesse al problema : se il fenomeno della complementarietà è reale, come si verifica e per quale causa si produce?
Ciò viene ad interessare, secondo me, tutto il campo della fisica ottica e l’attuale teoria colore. In questo caso peraltro si può capire come gli apparati meccanici quali la macchina fotografica ed elettrici quale la televisione siano in grado di rappresentarlo e di riproporlo.
Se invece, come sembra per ora, il fenomeno è totalmente fisiologico allora io mi rivolgo agli esperti del campo medico : ottici, fisiologi, neurologi e quanto altri siano competenti in materia, per chiedere loro come può una semplice macchina fotografica (camera oscura ed emulsione gelatinata) comportarsi come quel mirabile e complesso organo che ci viene descritto sia l’occhio umano e come, a sua volta, quest’ultimo possa ridursi a comportarsi come un semplice apparato prodotto dall’uomo, con la differenza che in detto apparato la immagine può essere permanente e ripetuta, mentre nell’occhio no.
Comunque in un caso o nell’altro il problema riveste - secondo me - una grande importanza e la soluzione dello stesso potrebbe avere interessanti ripercussioni nel campo fisico od in quello fisiologico.
Egregi Colleghi, nel richiedere la Vostra collaborazione intendo precisare sin da ora che nell’eventualità di una soluzione scientifica del problema tutto il merito sarà di colui che avrà ottenuto tale risultato.
A me competerà il merito di aver sollecitato l’interesse dello studioso e di aver indicato, come una freccia, la direzione da seguire.
All’artista andrà la grande soddisfazione di aver potuto in qualche modo restituire alla scienza un poco di quello che la scienza ha dato e continua a dare all’Arte.